Quantcast
Channel: Scrittevolmente » autopubblicazione
Viewing all articles
Browse latest Browse all 25

[Recensione] Susanna Costantini – Io sono il tuo dottore

0
0

Io sono il tuo dottore

di Susanna Costantini

 

Titolo: Io sono il tuo dottore
Autore: Susanna Costantini
Serie: //
Edito da: Autopubblicato
Prezzo: 14,50 €
Genere: Narrativa
Pagine: 482 p.

Good-Reads-icon 

TramaSan Francisco, 2009. Si conoscono a una festa di nozze, Edward e Michael: quest’ultimo sotto mentite spoglie, ingaggiato da un cliente perché interpreti la parte di suo figlio impossibilitato a partecipare. Il primo è un medico di ventisei anni, specializzando in Medicina Interna, il secondo un prostituto ventiduenne con inclinazioni letterarie e un passato difficile alle spalle, speso tra orfanotrofio, relazioni andate a monte e una fuga da casa. Da quello seguiranno una serie di altri incontri, per volontà o caso fortuito, durante i quali la conoscenza tra i due, estremamente difficile i primi tempi, finirà per diventare una vera e propria amicizia destinata a evolversi in qualcosa di più profondo. Durante questo racconto farete anche la conoscenza dei colleghi di Edward e di altri personaggi interessanti: Amy, Max, Gerard e il suo ragazzo Jamie, illustratore di romanzi gotici; di Colin, padre di Edward e primario dell’ospedale, e di Jake, un tempo compagno di marchette di Michael, a lui legato nell’anima.

 

Immagine5

Recensioneùdi Livin Derevel

Ci sono tante cose che potrei dire anche solo come premessa, a questo libro.
Potrei far presente che le 400 pagine evidenziate lassù nello specchietto sono da prevedere in formato .pdf, quindi in formato A4, quindi in versione digitale .epub oppure .mobi sarebbero circa 800. 800 pagine di romance di tendenza yaoi. Fate vobis.
Potrei far notare che nessun editore, nessuno, pubblicherebbe un libro tanto corposo di un’esordiente, e che perciò questo romanzo è stato auto pubblicato, con tutto ciò che ne consegue, ovvero: niente editing né correzione di bozze. E si nota.
Potrei partire col dire che questo libro non mi è piaciuto. Nemmeno un po’. E me ne dispiace. Me ne dispiace perché sono la prima a cercare di supportare gli autori che mi contattano direttamente e si mostrano cordiali, gentili, consapevoli che la loro opera non è perfetta e si muovono senza boria (che tanto se si muovessero con boria li stroncherei nell’unica mail di risposta che manderei loro quindi il problema non si porrebbe), ma in questo caso non ne ho avuto la possibilità.
C’erano potenzialità, ma il tutto è sfumato molto, troppo presto.
Siccome, come avrete capito, ho davvero tanto da dire, cercherò di muovermi per punti per farvi meglio comprendere.

Il perno centrale di Io sono il tuo dottore è Edward. Il dottore in questione. Edward è uno specializzando di medicina, figlio del primario del grande ospedale dove lavora. È ricco di famiglia da parte di entrambi i genitori, e nella prima parte dello scritto sappiamo che sua madre è una donnetta gaudente, aristocratica, attenta alle apparenze e alle feste di beneficenza e ai balli delle debuttanti, che lo vuole vedere accasato con una bella mogliettina – bionda possibilmente – malgrado Edward invece detesti tutto ciò che lei – e i suoi soldi – rappresentano. Ricorda qualcuno?
A me sì: John Carter, di ER. Medici in prima linea, padre primario a parte. Ma soltanto circa questo aspetto esterno, giacché per quanto riguarda la sfera psicologica Edward purtroppo è quello che si definisce un personaggio vuoto.
Edward è un incredibile concentrato di stereotipi che ci vengono snocciolati dalle sue labbra: ha deciso di diventare medico perché avvertiva la “grande vocazione”, le bionde avvenenti con cui esce sono tutte sciacquette con il cervello grande quanto una nocciolina, i ricchi compari della madre sono tutti presuntuosi falsi e con la puzza sotto il naso, la sofferenza degli ospedali è eticamente migliore di tutte quelle persone, la prostituzione è una cosa orribile e sbagliata, chi si veste con giacca e cravatta non è altro che un pagliaccio d’ufficio che lo fa per fare bella figura…

Da una parte, ci sono quelle ragazze lustrate al punto da sembrare irriconoscibili, il cui trucco nasconde qualsiasi minimo difetto, col corpo abbronzato dalle lampade cancerogene e i capelli artificialmente schiariti con l’ossigeno e addomesticati dalla piastra, con ai piedi trampoli dal tacco a spillo a dodici centimetri e avvolte nei loro Armani e coi loro Tiffany ai polsi, che si mettono in mostra come se fossero merce da comprare… E dall’altra quei ragazzi idioti che credono di trovarsi al cospetto di chissà quale bellezza mentre non si rendono conto che, senza tutti quei artifizi, quelle sciacquette che gli sembrano dee solo per i loro culi e tette tenuti su dai push-up non sarebbero meglio della compagna di scuola secchiona che disprezzano tanto.

Avete notato? Agli uomini l’aggettivo adoperato è stato un semplice “idioti” mentre il resto del paragrafo è dedicato a dare un’immagine degradata del sesso femminile.
Siamo anche misogini, Edward, oppure ci limitiamo a odiare le ragazze che amano avere cura del proprio aspetto?

Irritante. Edward è uno sgradevole personaggio vittima della trama forzata, che attraverso la propria bocca – di rado attraverso scarne riflessioni – dipinge un contesto che l’autrice ci vuole volutamente mostrare come detestabile in confronto a lui, che viene dipinto come una sorta di sant’uomo. Io del sant’uomo in questione posso solo dire che l’ho trovato pedante, presuntuoso, noioso, banale, patetico e per nulla rispettoso degli altri. E un pazzo in piena regola, ma qui ci arriveremo più avanti.

In particolari circostanze Edward fa la conoscenza di Michael, un escort ventiduenne che sulle prime non sembrava essere un cattivo personaggio, salvo poi venire a conoscenza delle sue scelte di vita che francamente non hanno presupposti credibili.
Michael è stato adottato, e ha abbandonato il tetto familiare tre mesi prima di compiere diciotto anni, quindi prima di aver raggiunto la maggiore età che gli avrebbe dato la possibilità di fare un buon numero di cose che da minorenne gli erano precluse. Perché questa decisione? A quanto pare nell’aria aveva avvertito di non essere benaccetto dopo la nascita insperata di due gemelli. Verso la conclusione la motivazione in realtà cambia e si trasforma nell’allontanamento forzato da parte della madre perché il padre inizia a provare pulsioni sotterranee verso Michael (…) ma tant’è, non sono stata a sottilizzare perché non ne valeva la pena.
Sunto del discorso: Michael, in una città mastodontica e creativa come San Francisco, non riesce a trovare uno straccio di lavoro che non sia fare il cameriere sfruttato in un ristorante, e perciò inizia a battere, diventando un escort e accogliendo clienti in casa sua. No, per me di logica non ne ha, ma ho voluto dargliela buona per licenza poetica.
Michael da quattro anni è sulla strada – metaforicamente parlando – e pare non avere un, dico un (1), amico, conoscente, confidente, nessuno che possa stargli vicino quando ha bisogno, e la sua giustificazione è che passa la maggior parte del suo tempo a battere. Questo ragazzo riempie le sue giornate, mattina, pomeriggio e sera, a fare sesso. Certo. Ho fatto finta di credere anche a questo, prima di chiedermi quali problemi di personalità avesse per avere così scarse capacità nei rapporti umani.
Michael, contraddittorio come diversi punti del romanzo, nelle prime pagine fa un piuttosto stimolante discorso su come la prostituzione sia un lavoro come un altro – cosa su cui mi ha trovato d’accordo. Salvo poi stravolgere la sua stessa opinione a circa metà libro sbottando con Edward “Non sono un ragazzo come gli altri!”. Michael, per la miseria, rivedi un attimino i tuoi principi e cerca di capire a quali credi, grazie.
Ah, inoltre Michael è una divinità della letteratura.
A ventidue anni è stato capace di concludere ben tre lunghi romanzi, che sono assolutamente perfetti.

«Ma ti rendi conto che quel ragazzo è un genio? Il mio parere conterà pure meno di niente, ma credo che almeno i tre quarti della roba che puoi trovare in libreria, e di autori ben più navigati, non valga neanche la metà di quello scritto!»

Chissà come mai i personaggi che nei libri scrivono, son sempre i migliori scrittori sulla faccia della terra.
Ma per favore.

I due innescano una serie INFINITA (ricordo: 800 pagine) di schermaglie amorose che comprendono concerti dei Muse, morti, puntate di Dr. House MD, scorpacciate di dolci, conoscenza dei pochi amici di Edward (questi sono due dei protagonisti più sfigati che abbia mai incontrato nella mia carriera di lettrice), flashback, litigi, accoltellamenti, drammi di vari natura e grado.
Come già avevo anticipato, la storia è estremamente forzata. Gli eventi si avvicendano senza seguire il raziocinio ma grazie a un piano cosmico che spinge i due l’uno con l’altro grazie a differenti stratagemmi, in barba al buonsenso che regola le vite di normali esseri umani.

Durante la lettura mi sono accorta di alcune tare spesso ricorrenti.
In primis abbiamo un tipo di caratterizzazione che speravo fossero limitate alla mente ancora in formazione dei bambini: i “cattivi” sono brutti, laidi, grassi, unti, di pessimo aspetto, mentre i “buoni” sono di aspetto avvenente, se non bellissimi o meravigliosi. Sarà la superficialità di Edward a contaminare lo stampo della narrazione?
Altra nota: tralasciando la bipolarità di Michael nei confronti del proprio lavoro, mi ha fatto innervosire il fatto che frequentemente definisca i suoi clienti degli schifosi, dei maiali, dei luridi ipocriti e via dicendo. Ora, non che io sia esperta di prostituzione o altro, ma da un romanzo che si vanta di affrontare un argomento simile mi aspettavo un minimo di introspezione migliore, approfondimenti, analisi psicologiche, un andare oltre l’ordinario che chiunque potrebbe scrivere. Invece no. Confesso che a un certo punto, dopo l’ennesimo sprezzo di Michael, mi sono chiesta se semplicemente non sia troppo pigro per darsi una mossa e cercarsi un lavoro che lo soddisfi, visto che assolutamente nulla di concreto glielo impedisce.
Poi, questione che si ricollega alla prima, sembra che il contesto in cui si muovono i due protagonisti sia quasi del tutto negativo rispetto a loro. Donne profittatrici, famiglie ostiche e omofobe, uomini repellenti, cattiveria e maleducazione, grida e rifiuti a comprensibili richieste d’aiuto… Ho avuto l’impressione che la visione nera del mondo di Io sono il tuo dottore sia stata imbastita di proposito, giusto per far risaltare in meglio Edward e Michael, e i personaggi “buoni” a essi collegati. Un po’ squallido illuminare il meglio del peggio, non trovate?

Le opportune sfortune si ripetono come da copione ed ecco che abbiamo tristezza – insensata – a palate, e in ultimo la scoperta che Michael ha la leucemia. Perché altrimenti non era una telenovela.
Confermo che quest’ultima parte ha fatto azzerare il punteggio della recensione, perché assolutamente delirante.
In sintesi: Michael necessita di un trapianto di midollo osseo e Edward cosa fa? Rapisce il suo fratellastro illegittimo, analizza il suo midollo e lo trapianta.

Sono rimasta senza parole.
Non tanto da quest’azione folle, che nel cuore di un innamorato ha un suo perché, ma dal fatto che intorno a Edward sono convinti che abbia fatto bene.
Abbia fatto bene?!

E francamente neanche me la sento di biasimare Edward per quello che ha fatto. Se ci pensi, è stata la cosa più razionale che potesse fare.

Cosa. Cazzo. State. Dicendo?
E sapete chi ha pronunciato questa frase? Il padre. Primario di medicina di un ospedale.
Santo Illior.
Rendiamoci conto, un uomo rapisce un bambino – già rapire un adulto sarebbe spaventoso, ma un bambino, un pargolo! – per sottoporto a un intervento che comporta rischi di mortalità altissimi?
E non lo si biasima?!
Autrice, capiamoci, il tuo protagonista ha appena compiuto un crimine orribile – perché è di questo che si tratta – e lo si giustifica perché è stato un atto d’amore? È stato un atto folle. Egoistico. Assurdo. Patologico. Disturbato.
E sapete qual è la cosa che più mi amareggia? Che se Edward si fosse accorto di quanto fosse stato sbagliato il suo gesto sarebbe persino stato coerente.
Invece col cavolo, Edward continua ad additare la famiglia di Michael (quella di sangue) che l’ha ripudiato e che si è rifiutata di salvarlo quando ne aveva la possibilità e quindi ha deciso di fare da sé.
Ok. Dunque non dovrò storcere il naso se in futuro al TG sentirò di una donna che ha sequestrato la zia del marito e le avrà asportato un rene per donarlo a lui. L’ha fatto per amore. Cielo, quant’è romantico.

Insomma, mi pare chiaro che l’intreccio sia cosparso di buchi, costellato di deus ex machina molto convenienti per consolidare i rapporti tra Michael e Edward che altrimenti non si sarebbero sviluppati in talune maniere, e scritto male.
Purtroppo c’è anche questa pecca.

Io sono il tuo dottore è un’opera quasi interamente basata sui dialoghi, e i dialoghi sono un elemento difficile da gestire. I dialoghi possono rivelarsi fondamentali, di stacco, di sospensione, possono servire a concludere o sbrogliare una situazione, sono particelle che vanno ponderate quanto e forse più dello stesso raccontare.
E qui i dialoghi sono pessimi.
Sono artefatti, meccanici, non sono per nulla spontanei e talvolta possiedono talmente tante subordinate da rendere impossibile leggerli a voce alta. Ci sono pagine e pagine di chiacchiere e scambi di battute superflui che avrebbero potuto essere sostituiti con qualche frase narrata (un’intera pagina A4 per discorrere di quanto sia pingue il gatto di Gerard e com’è fatta la sua lettiera. Le mie braccine cascano), riflettendo meglio sul loro contenuto e sulla loro forma probabilmente i capitoli si sarebbero snelliti un po’, e se si fossero evitate non dico tutte, ma almeno un 80% di frasi fatte persino i personaggi sarebbero piaciuti di più.
Le descrizioni sono irrisorie, usate quando occorreva dare un’immagine grafica della scena, e lo schema è freddo, sterile, a elenco: accade questo e così, questo è così; la cucina è così, così e così. Non c’è lirismo né pathos, non traspaiono né impressioni né espressioni, l’enunciazione della situazione si rivolge al fisico, non all’emotivo. E quando non è il nostro animo a immedesimarsi, la lettura è noiosa. Persino i momenti amorosi, che dovrebbero essere coinvolgenti e di trasporto, sono blandi, a malapena sufficienti per dare davvero l’idea di cosa sta accadendo tra i personaggi a livello sentimentale.

Il problema che permea l’intero romanzo è che c’è poca introspezione, poco evisceramento dei contenuti. Ho incontrato alcuni buoni spunti, che avrebbero potuto dar via a una serie di riflessioni interessanti e intense, e invece sono bastati alcuni discorsetti lunghi un paragrafo e si è passato oltre. Tra l’altro discorsetti comuni, con concetti e vocaboli che potreste sentire in qualunque film per famiglie che passano in questo periodo o nelle sit-com per adolescenti. Insomma, se il tono che si voleva dare a Io sono il tuo dottore era alto, avrei preferito che vi fosse scritto qualcosa di quantomeno originale. O che almeno fosse scritto in modo originale.

Essendo un auto pubblicato sono presenti errori:
- refusi (non tanti, e non compromettono la lettura);
- errori di forma (verbi associati a sostantivi che proprio non stanno insieme, o forme inventate a braccio [sobillare un caso? Appiccare le luci? Rango di orario? Stoccato nel coma?]);
- e qualche stranezza tecnica che mi ha lasciata perplessa (medici che costernati si guardano nelle palle degli occhi affermando

Questa è Aids, mi dispiace.

Autrice, trust me, HIV è la fase asintomatica della malattia, mentre in AIDS diventa sintomatica. Confido che questi fenomeni di dottori se ne sarebbero accorti un filino prima che il paziente si ritrovasse in fin di vita. Perciò non ho affatto compreso perché impostare quella pantomima che voleva porre un netto confine tra HIV e AIDS in Jake, quando dal suo aspetto, dal suo dolore e dal suo stato era chiaro che fosse AIDS fin da principio).

Salvo poco, di questo romanzo. Giusto l’idea di base.
Per il resto, purtroppo, troppi errori.
Errori di contenuto, errori di struttura, errori di forma, errori di trama.
Quando si desidera scrivere un romanzo e ficcarci dentro tutto, tutto quello che vogliamo trasmettere bisogna stare molto attenti a come lo si fa, a non abbondare, a non essere parchi né esagerare, a dosare le tempistiche, le scene, le parole e le pause.

Michael potrò pure possedere un vero talento naturale, come scrittore.
Nella vita reale invece occorre molto di più.

 

Voto

 

1Astelle

 

Immagine5

Susanna Costantini: “in ambito musicale straniero: Placebo e Muse. Italiano: Guccini e De André. Il mio romanzo preferito (pubblicato): “Cry to heaven” di Anne Rice. I film che amo: “Gattaca” di Andrew Niccol, “Morte a Venezia” di Visconti, “Sroria di una capinera” e “Jane Heyre” di Zeffirelli, “L’attimo fuggente” di Peter Weir, “House of boy’s” di Jean-Claude Schlim e diversi altri ‘gay themed film’. Sono una fanatica di Dr. House e Grey’s Anathomy: ADORO le fiction mediche.
E adoro tantissimo, purtroppo, anche il gelato al pistacchio.
Sono un’amante della vita tranquilla, amo i colori del cielo al crepuscolo, il silenzio e i profumi della natura. Detesto il rumore e mi sento a disagio se faccio troppa vita di società. Amo scrivere, leggere, dipingere e disegnare. E amo i particolari occulti della Storia.

Facebook-icon

 


Viewing all articles
Browse latest Browse all 25

Latest Images

Trending Articles





Latest Images